Bullismo

1. Cos’è il Bullismo?

Secondo Dan Olweus, uno dei principali studiosi del fenomeno, il Bullismo è il comportamento che si verifica nel caso in cui un individuo, di solito uno studente (ma lo stesso problema esiste anche in ambito lavorativo, dove viene chiamato “Mobbing”), viene “prevaricato o vittimizzato” ovvero “esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni. Un’azione viene definita offensiva quando una persona infligge intenzionalmente o arreca un danno o un disagio a un’altra”.

Quindi, come vediamo già da questa definizione, il bullismo per essere tale deve essere caratterizzato da due elementi:

L’intenzionalità di arrecare un danno all’altro: un danno non intenzionale non è bullismo.

La ripetizione del comportamento: il bullismo non è un singolo atto, ma un comportamento persistente, ripetuto nel tempo.

Un normale conflitto tra coetanei, al contrario, non è caratterizzato dall’intenzione di fare deliberatamente del male all’altro, dalla mancanza di compassione, dalla volontà di prevaricare o di vittimizzare l’altro, e soprattutto non è un comportamento ripetuto nel tempo.

2. Tipi di Bullismo

Il bullismo può essere di vari tipi:

– Bullismo diretto

– Bullismo indiretto

Cyberbullismo o bullismo elettronico

A sua volta, il bullismo diretto può essere fisico (il soggetto bullizzato può ricevere pugni, calci, schiaffi, spinte, percosse di altro tipo; essere ferito, costretto ad azioni umilianti, dannose o pericolose; vedersi danneggiati, rubati o rovinati oggetti di proprietà) o verbale (il soggetto può essere insultato, minacciato, deriso, ricattato, preso in giro, stigmatizzato; può vedersi sottolineati i difetti; ricevere urla o subire altri attacchi verbali).

Il bullismo indiretto può includere l’isolamento sociale, l’esclusione dal gruppo, il parlare dietro le spalle, la diffusione di pettegolezzi, di voci di corridoio e di storie (vere o inventate), specie se imbarazzanti, contro la vittima.

Il bullismo elettronico o cyberbullismo, infine, indica comportamenti come lo scrivere o il pubblicare messaggi, mail, commenti, articoli, post, storie, foto e così via, tramite chat, social media o altre modalità su internet, con contenuti offensivi o non rispettosi della privacy della persona offesa. Può includere anche forme di esclusione e isolamento dai gruppi online, così come la creazione di pagine, gruppi o siti per offendere, deridere o attaccare in altri modi la vittima. Il cyberbullismo include anche tipi di bullismo verbale via internet, come insulti, minacce o messaggi minatori (specialmente se anonimi); la diffusione di bugie, storie o ricordi imbarazzanti su un individuo; la diffusione di video, foto, scritti o di altro materiale online senza il consenso del soggetto (se di natura intima o sessuale viene chiamato Revenge Porn); e ricatti – anche sotto forma di compensi economici – per non diffondere tale materiale (se di natura intima o sessuale viene chiamato Sextortion, che vuol dire “estorsione sessuale”).

3. Informazioni sul Bullismo

Il bullismo è più generalizzato nei bambini più piccoli, e diminuisce con l’età, al punto che vi è quasi un dimezzamento delle percentuali di comportamenti di bullismo registrati nel passaggio dalla scuola elementare a quella media. Questo è spiegabile con l’evolversi delle capacità cognitive, sociali e morali nel periodo della pubertà. Ciò però vuol dire anche che, se si riscontrano comportamenti di bullismo durante o dopo il periodo delle scuole medie, i ruoli di bullo e di vittima saranno più consolidati rispetto ad episodi analoghi svoltisi nel periodo delle scuole elementari.

Gli individui vittime dei bulli spesso hanno un deficit di riconoscimento della rabbia, per cui, sebbene esistano vittime puramente passive, non mancano segnalazioni di atteggiamenti – da parte del soggetto bullizzato – di “provocazione” del bullo, come nel caso di persone che tendono a contraddire o a correggere i bulli quando commettono errori, a essere assillanti, fastidiose o poco simpatiche nei confronti del bullo, degli altri compagni, degli insegnanti o dell’intera classe. Tuttavia, la vittima può non riconoscere che tali atteggiamenti rischiano di generare rabbia, per cui può continuare a portarli avanti.

Questi atteggiamenti di provocazione non devono essere una scusante o una giustificazione per colpevolizzare la vittima per l’aggressione subita, scaricando su di essa la responsabilità delle prevaricazioni che le sono rivolte, perché le persone non-bulle (ovvero la maggioranza delle persone) riescono a far presente se trovano determinati atteggiamenti fastidiosi o provocatori senza ricorrere ad atti aggressivi o ad offese. Dobbiamo evitare di legittimare i comportamenti violenti (“sono solo scherzi”, “sono ragazzi” o, ancora, “è una ragazzata”), considerarli giusti (“in fondo se lo merita, è fastidioso”) o normalizzarli (“non è così grave” o “lo fanno tutti”), scadendo in quello che la psicologia chiama “disimpegno morale”.

Dall’altra parte, le persone bulle hanno invece una maggiore comprensione della psiche dell’altro, hanno cioè punteggi maggiori in quella che viene chiamata in psicologia “teoria della mente”. Tuttavia, a questa maggiore comprensione degli stati mentali altrui (utile per poter fare previsioni ragionevoli sul comportamento degli altri, a vantaggio proprio del bullo), non si abbina una altrettanto elevata empatia.
Dunque, se gli individui vittime dei bulli hanno un deficit di riconoscimento della rabbia, le persone che commettono atti di bullismo hanno spesso un deficit di empatia.

Oltre al bullo e alla vittima, nel fenomeno intervengono anche altri soggetti: gli aiutanti dei bulli, i sostenitori dei bulli, i difensori delle vittime, gli indifferenti o outsider. Coloro che circondano il bullo sono dunque anch’essi responsabili di un suo maggiore o minore potere, essendo questo rinforzato dall’attenzione dei sostenitori e lasciato crescere dall’assenza di opposizione della maggioranza silenziosa.
Come diceva Elie Wiesel, superstite dell’Olocausto: Prendi posizione. La neutralità favorisce l’oppressore, mai la vittima. Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato.

Gli adulti di solito non intervengono: gli insegnanti non mettono in atto strategie dirette di contrasto al fenomeno; mentre i genitori, sia del bullo che della vittima, spesso non conoscono nemmeno il problema – perché i figli non gliene hanno mai parlato e loro non hanno mai chiesto.
Molte volte gli adulti sottovalutano le prepotenze dei ragazzi, perché le considerano alla stregua di “ragazzate”, cioè di giochi o scherzi.
Inoltre, spesso gli episodi di bullismo si svolgono in luoghi nascosti dagli occhi degli insegnanti e nessuno, nemmeno la vittima, segnala il trattamento subito. Vi è infatti un aumento significativo degli episodi di bullismo in luoghi e tempi in cui non vi è sorveglianza da parte degli adulti, come nel tragitto tra casa e scuola o durante la pausa pranzo o la ricreazione.

In aggiunta, è ancora diffusa la mentalità secondo cui le prepotenze in ambito scolastico farebbero “crescere” chi le subisce, rendendo il bullismo una sottospecie di “scuola di vita” da non togliere alla vittima. Tuttavia, ciò è lontano dall’essere vero: al contrario, il bullismo porta a effetti negativi sullo sviluppo psicologico, e rappresenta un vero e proprio trauma che può aumentare comportamenti disadattivi, inclusi quelli auto-lesivi e di ideazione suicidaria.

I bambini vittime di bullismo, vedendo che gli adulti non percepiscono la portata del fenomeno e non si sentono in dovere di porre limiti ad esso, si creano un’aspettativa di totale indifferenza nei loro confronti, mentre i bulli interpretano questa inazione come un rinforzo e un’approvazione da parte dei grandi nei confronti del loro operato. Questa scarsa fiducia, dovuta alla mancanza di intervento degli adulti, porta una considerevole parte delle vittime a non riferire quanto accaduto ad insegnanti o familiari, e la percentuale aumenta sempre più con l’età e con il passaggio alle scuole medie. Inoltre i maschi, soprattutto se il bullo è una ragazza, tendono maggiormente a non riferire i soprusi che hanno subito né a confidare la loro sofferenza agli adulti.
I ragazzi possono arrivare a credere che segnalare quanto è avvenuto sia un’azione negativa, peggiore rispetto allo stesso atto di bullismo, e che farlo non solo non sia risolutivo, ma addirittura peggiori la loro situazione e li conduca ad un ulteriore isolamento da parte degli altri.

4. Bullismo Femminile

Il bullismo, comunemente ritenuto un fenomeno perpetrato dai soli maschi, è in realtà messo in atto altrettanto spesso dalle femmine. Quando si parla di bullismo femminile, inoltre, lo si fa generalmente solo in riferimento a ragazze che bullizzano altre ragazze, e a come ciò impatti negativamente sulle ragazze colpite.
Quasi sempre si trascura invece la questione del bullismo femminile contro i ragazzi maschi. Come risultato, il discorso pubblico sul fenomeno delle ragazze che bullizzano i ragazzi è molto scarno se non inesistente, e ciò costituisce purtroppo una triplice minaccia per il benessere dei giovani e dei giovanissimi:

– In primo luogo, le vittime di sesso maschile sopportano le angherie delle bulle, che possono arrivare fino a vere e proprie torture.

– In secondo luogo, la mancanza di discussione al riguardo viene interpretata come un’approvazione, se non proprio come un incoraggiamento, e quindi avvalla ulteriori atti di prepotenza e bullismo da parte delle ragazze nei confronti dei ragazzi.

– Infine, la mancanza di discussione in merito invia ai ragazzi un messaggio chiaro: le ragazze che fanno del male ai ragazzi stanno facendo qualcosa di accettabile e di accettato dalla società, che la vittima di sesso maschile deve subire senza sperare in un aiuto esterno, e qualunque reazione alle angherie potrebbe essere interpretata come “il vero problema” e “la vera violenza”, portando così a dipingere le vittime stesse come i “reali carnefici”.

Come conseguenza di tutto ciò, i ragazzi tendono a sopportare i soprusi (fino a vere e proprie torture) delle ragazze bulle in silenzio, il che li può portare alla tragedia dell’autolesionismo e del suicidio.

A livello accademico, è sempre più evidente come esistano vari tipi di bulli, sia maschi che femmine, e come il bullismo femminile sia un fenomeno comune, la cui frequenza, prevalenza e gravità equivalgono quelle del bullismo maschile. A volte, può essere addirittura peggiore.
È ormai chiaro che il bullismo femminile sia tanto diffuso quanto quello maschile, e che l’idea che i maschi siano il tipo dominante di bullo sia solo un pregiudizio errato: le ragazze possono essere cattive e fisicamente abusanti quanto i ragazzi, spesso anche di più.

Tuttavia, questa comprensione accademica purtroppo non è seguita da un cambio di atteggiamento da parte della popolazione più ampia. Per meglio comprendere quanto detto, proviamo a fare un gioco in merito.

Quante volte, alla vista di due ragazzini di 8 o più anni lottare, e al conseguente pianto di uno dei due, vi siete riferiti ad alta voce a quest’ultimo con espressioni quali: “frignone”, “piagnucolone” o simili? Mai fatto? Vi dichiarate innocenti? Benissimo.
Quante volte avete almeno pensato a questi appellativi, anche solo come pensiero fugace? Purtroppo, questa volta più persone si dichiareranno colpevoli.
Quante volte, pur sapendo che erano sbagliate, quelle stesse etichette vi sono apparse nella mente? Vi dichiarate ancora innocenti? Applausi, applausi.
Adesso rendiamo il gioco più difficile: cosa avete detto o pensato alla vista di due ragazzini di 8 o più anni lottare, ma in questo caso a prevalere era una femmina, mentre quello che piangeva a dirotto era un maschio?
Coloro che a questo punto dell’esercizio risponderanno di non avere fatto o pensato nulla, e si dichiareranno dunque “innocenti”, saranno diminuiti considerevolmente. Perché? Perché i maschi, identificati con il cosiddetto “sesso forte”, dovrebbero, secondo i dettami della società e dei ruoli di genere, tollerare il dolore, non importa quanto dannoso o paralizzante sia per il loro sviluppo. Inoltre, il “sesso forte” non dovrebbe mai picchiare l’altro sesso. Purtroppo questi preconcetti – espressi in famiglia e nella società non solo in maniera esplicita e verbale ma anche implicitamente con il proprio comportamento – non passano inosservati alle ragazze bulle, che li usano invece a proprio vantaggio.
Ma “forte” non significa invincibile o impenetrabile. Quando inizia ad essere inculcato il messaggio secondo il quale è normale aspettarsi che i maschi tollerino il dolore? Di solito, quando un cromosoma X si unisce a un cromosoma Y, e nasce un bambino di sesso maschile.

È necessario, dunque, un cambiamento di paradigma che contrasti il preconcetto secondo il quale il bullismo femminile nei confronti dei maschi sarebbe irrilevante. I messaggi che dovrebbero essere trasmessi invece sono allora i seguenti:

– Le ragazze bullizzano e le femmine possono essere bulle, al pari dei maschi.

– Le ragazze bulle tormentano i maschi, non solo le femmine.

– Le ragazze che fanno del male ai ragazzi non dovrebbero mai essere prese alla leggera.

– L’impatto del bullismo da parte delle femmine nei confronti dei maschi può essere molto dannoso per i ragazzi fisicamente, emotivamente e socialmente.

Pertanto, dovrebbe essere incentivato un atteggiamento neutro rispetto al genere dei soggetti coinvolti e di tolleranza zero verso il bullismo, specialmente nelle scuole. Per evitare che i bambini e i ragazzi diventino vittime a scuola, dobbiamo promuovere l’idea che qualsiasi forma di aggressione da parte di qualsiasi compagna o compagno, indipendentemente dal genere o dallo status sociale, sia assolutamente, totalmente e completamente inaccettabile.

5. Rimedi: cosa fare?

Quali sono i possibili rimedi alla piaga del bullismo? È possibile pensare ad un progetto di intervento che preveda azioni significative, come:

– La creazione di un ambiente scolastico, e se possibile familiare, caratterizzato da coinvolgimento emotivo degli adulti, affetto e interessi positivi.

– La definizione precisa dei comportamenti che vengono ritenuti inaccettabili, in modo da comunicare chiaramente ai ragazzi quali azioni siano considerabili prepotenze e pertanto vietate, e il conseguente invio del messaggio che gli adulti faranno di tutto per contrastare questi comportamenti.

– Pattuire assieme ai ragazzi le sanzioni o punizioni adeguate (evitando coercizioni fisiche e castighi improntati all’ostilità) e, nel caso in cui le regole vengano violate, applicarle in maniera sistematica, in un clima di “tolleranza zero” verso il bullismo.

– Pretendere dagli adulti, che siano genitori, insegnanti o altro personale non docente, l’impegno a rilevare e punire anche i più piccoli atti di bullismo, senza accettare alcun tipo di giustificazione o di negligenza.

Un simile progetto d’intervento è già stato messo in atto, ed è risultato molto efficace nel ridurre l’incidenza del bullismo e di altri comportamenti antisociali tra gli studenti delle scuole elementari e medie. Dopo due anni dall’implementazione, sia i ragazzi che le ragazze hanno riportato che la percentuale di comportamenti di bullismo era diminuita della metà. Inoltre, più a lungo il programma era implementato, tanto migliori erano i risultati.

Il modello di intervento che descriveremo, ideato da Olweus, è strutturato su tre livelli: il primo livello è diretto all’intera scuola, il secondo al gruppo-classe e il terzo all’individuo. In più, possono essere formulate indicazioni utili dirette ai genitori che, pur non rientrando nel modello di Olweus, sono risultate comunque molto efficaci nel prevenire il bullismo.

Cominciamo con il primo livello, quello diretto all’intera scuola. Esso include: sondaggi, interviste o questionari che rivelino l’entità del bullismo; l’incremento di comportamenti di supervisione da parte degli insegnanti; incontri di sensibilizzazione e assemblee scolastiche per progettare assieme strategie anti-bullismo; training rivolti agli insegnanti per individuare e combattere efficacemente questo fenomeno.
In questo livello, l’intero istituto scolastico definisce nelle proprie riunioni una politica condivisa di contrasto al bullismo, decidendo insieme una serie di obiettivi tangibili che dimostrino agli adulti e soprattutto ai ragazzi che tali comportamenti non sono tollerati.
Possono essere impiegati questionari, interviste, resoconti, sondaggi anonimi e altri tipi di rilevazione per conoscere l’entità degli episodi di bullismo e per poterne monitorare la variazione nel corso del tempo.
Si stabiliscono inoltre dibattiti e incontri dove il personale docente, non docente e i genitori possano essere sensibilizzati sul problema e comprendere l’importanza di intervenire in queste situazioni.
Il personale scolastico, docente e non, si impegnerà allora a supervisionare gli spazi frequentati abitualmente dai ragazzi in assenza di adulti e i momenti della giornata nei quali è più probabile che si verifichino episodi di bullismo (come la ricreazione e la pausa pranzo).
Al fine di evitare che la noia possa spingere maggiormente i bulli ad azioni aggressive, potrebbe essere utile predisporre spazi più attrezzati per la ricreazione e per le attività extrascolastiche.

Passiamo adesso al secondo livello, diretto al gruppo-classe. Esso include: incontri regolari di classe per discutere il fenomeno del bullismo, il concordare assieme ai ragazzi quali atteggiamenti e comportamenti siano considerati bullismo e dunque vietati, lo stabilire insieme quali punizioni implementare per chi non rispetta tali regole. Per definire queste regole anti-bullismo e incidere sulle dinamiche interne al gruppo-classe, possono essere utilizzate letture in aula, visione di film, cartoni animati o documentari, role-playing o altre attività di gioco.
Si possono inoltre svolgere attività per aumentare la cooperazione tra gli alunni, migliorare il rapporto dei ragazzi fra loro e tra ragazzi e insegnanti. Gli adulti dovrebbero impostare attività (di apprendimento collaborativo o anche solo di gioco) che favoriscano il supporto reciproco tra coetanei; potenzino i comportamenti improntati ad aiutare, sostenere e consolare i compagni in difficoltà; e creino un clima di solidarietà e aiuto reciproco tra i ragazzi, fino a che queste azioni positive non diventeranno spontanee e partiranno direttamente da loro.
Gli adulti non dovrebbero porre al centro dell’attenzione solo le condotte più appariscenti – come l’aggressione diretta – ma mettere in luce anche ulteriori problematiche, come l’isolamento e altri comportamenti emarginanti o di non-comunicazione e silenzio nei confronti dei compagni considerati meno “simpatici”, “divertenti” o “carismatici”, e che si nascondono spesso dietro la timidezza e l’insicurezza di alcuni bambini non innatamente silenziosi ma “silenziati” dagli altri.

Sempre in questa fase è possibile prevedere degli incontri per parlare con i genitori, sensibilizzarli e spiegare loro la portata del problema, in modo da creare una cultura condivisa in cui la responsabilità di arginare il fenomeno non ricada sulle spalle di un’unica figura (l’insegnante), ma in cui ogni adulto (sia esso genitore, docente o personale non docente) agisca in maniera coordinata con gli altri.
Tutti gli adulti dovranno quindi agire, attivarsi e partecipare (ciascuno secondo il proprio legame con il fenomeno), in modo da creare un atteggiamento generale, una mentalità condivisa, che permetta di convogliare la forza di tutti e usarla per contrastare – in maniera efficace e in ogni ambito, sia familiare che scolastico – i comportamenti di bullismo. Solo in questa maniera gli interventi non rappresenteranno semplici azioni isolate, ma avranno il potere di cambiare realmente le dinamiche che si instaurano tra ragazzi.

Siamo arrivati al terzo livello, quello individuale, che include discussioni con gli studenti identificati come bulli e con le loro vittime. In questo livello sono previsti interventi che hanno come obiettivo la modifica del comportamento dei diretti interessati.
A questo scopo possono essere previsti colloqui individuali: con i bulli, con le vittime e con i genitori di entrambi. Possono inoltre essere presentate attività utili ad aiutare i bambini, sia bulli che vittime, ad acquisire abilità sociali che li aiutino a relazionarsi meglio con i coetanei. Per quanto riguarda i primi, portandoli ad evitare comportamenti improntati alla prepotenza e ad aumentare l’empatia nei confronti degli altri. Per i secondi, aiutandoli ad integrarsi meglio con il gruppo dei pari.

Infine, è possibile consigliare ai genitori di tenere aperta una linea di comunicazione, in modo che i ragazzi possano rivolgersi a loro in caso siano vittime di bullismo.
È molto importante che il genitore chieda al figlio direttamente se vi sono problemi con ragazze o ragazzi a scuola e se questi problemi abbiano caratteristiche che consideriamo proprie del bullismo.
È altrettanto importante ricordare che i ragazzi non sempre definiscono quelle azioni come “bullismo”, pertanto attenersi a una descrizione delle azioni e non all’impiego di un’etichetta (come appunto quella di “bullismo”) potrebbe aiutarli a parlare delle loro esperienze negative a scuola.
Infine, va evidenziata l’importanza di favorire lo sviluppo dell’autostima nei propri figli: i bambini e i ragazzi con maggiore autostima e con molti amici hanno minori possibilità di diventare vittime di bullismo. Tuttavia, è anche necessario rispettare il carattere più solitario o riservato dei bambini con meno amici, sostenendoli e non stigmatizzandoli per la loro scelta.

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